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La medicina del futuro inizia dalle persone sane: prevenire prima di curare

La medicina del futuro inizia dalle persone sane: prevenire prima di curare
Prof. Mauro Piacentini

Prof. Mauro Piacentini

Direttore Scientifico
Intervista al Prof. Mauro Piacentini: come HEAL Italia sta costruendo una rete nazionale per portare la medicina di precisione a tutti i cittadini. Professore emerito dell'Università di Roma Tor Vergata, dove per oltre quarant'anni ha insegnato biologia cellulare con una costante attenzione alla medicina traslazionale. Ex presidente del Comitato Tecnico Sanitario del Ministero della Salute, direttore di un laboratorio presso l'Istituto Nazionale per le Malattie Infettive Lazzaro Spallanzani, editor di riviste scientifiche internazionali pubblicate da Nature. Oggi, come vicepresidente e direttore scientifico della Fondazione HEAL Italia, il Prof. Mauro Piacentini sta guidando una delle trasformazioni più ambiziose del sistema sanitario italiano: portare la medicina di precisione a tutti i cittadini, non solo a chi può permettersela.

Professor Piacentini, lei ha alle spalle una carriera straordinaria di oltre quarant’anni. Quando ha iniziato questo percorso, immaginava di arrivare fino a qui, a parlare di medicina di precisione e di una sanità così profondamente trasformata?
Adesso mi fa andare indietro nel tempo di tanti anni. Quando ho cominciato, diciamo che a tutto pensavo, meno che alla medicina, onestamente, e volevo fare tutt’altro. Poi, peraltro, ho avuto sempre questo interesse per la biologia e quindi questo mi ha portato a studiare biologia. Però, come ho cominciato a studiare le cellule e tutto quello che ne consegue, ne viene quasi spontaneamente l’applicazione in termini di approcci di medicina.
I miei studi sono sempre stati con una base biologica importante ma con grandi applicazioni in ambito medico. Per questo sono finito a dirigere un laboratorio allo Spallanzani dove abbiamo studiato e stiamo studiando patologie infettive, e molti dei miei studi degli ultimi 15-20 anni sono stati dedicati al cancro, alle applicazioni delle nostre conoscenze in ambito biologico ai problemi relativi a patologie oncologiche.
Devo dire che è stato un viaggio estremamente interessante e ancora tutt’oggi, nonostante io sia pensionato, cerco di essere attivo nella ricerca perché non si smette mai di imparare. Se uno smette di imparare è finita. Dobbiamo sempre metterci in discussione e cercare di crescere – questo secondo me deve essere un po’ il leitmotiv di quello che molte persone dovrebbero fare in diversi ambiti: essere sempre curiosi e vogliosi di apprendere.
E devo dire che mi sono sempre stupito che mi pagassero per fare quello che mi piace fare. Questa secondo me è una condizione di privilegio: avere un lavoro che è anche il tuo hobby e che permette di vivere in un certo modo.

Entriamo nel cuore del nostro tema. Lei definisce la medicina di precisione come “la sfida più grande in ambito sanitario”. Cosa cambia davvero rispetto al passato?
La medicina di precisione è la sfida più grande che c’è attualmente in ambito sanitario ed è già in corso – non stiamo partendo da zero, si applica già in vari ambiti della medicina e della sanità. È di fatto un modo completamente diverso di vedere il paziente.
Una volta e fino ad oggi il paziente era una persona che aveva una certa patologia e quindi veniva trattato in base a quali erano le esperienze rispetto a quella patologia. Oggi il paziente diventa il centro dell’attenzione del medico come individuo a sé, quindi si tiene conto del suo fenotipo, della sua genetica, dei suoi comportamenti, del suo stile di vita e dell’ambiente in cui vive. Ogni persona ha la sua caratterizzazione in ambito medico.

E questo è possibile grazie ai progressi tecnologici degli ultimi anni…
Esatto. Questo è possibile perché in questi anni le tecnologie e le scoperte scientifiche hanno permesso di poter personalizzare gli approcci in ambito medico. Le tecnologie sono diventate sempre più precise, sempre più mirate.
Ma qui questa rivoluzione abbraccia un ambito culturale molto ampio perché non c’è medicina di precisione senza big data – quindi possibilità di gestire grandi quantità di dati – e senza tecnologie avanzate sia in ambito informatico che in ambito biomedico. È una piccola rivoluzione che abbraccia sì la sanità ma con tanti ambiti connessi alla sanità.
Il paziente oggi dovrebbe diventare un individuo a sé che va studiato come tale, non più come parte di una classe di patologie generica.

Lei parla spesso di “medicina personalizzata” piuttosto che “medicina di precisione”. C’è una differenza?
Personalmente – e sembra quasi un gioco di parole – io preferisco dire medicina personalizzata perché mette proprio il paziente al centro dell’attenzione degli operatori sanitari e delle possibili diagnosi e terapie. “Di precisione” perché si utilizzano tecnologie sempre più sofisticate. Però secondo me stiamo parlando di medicina personalizzata che utilizza tecnologie sempre più evolute, sempre più specifiche che permettono di poter fare una prevenzione, una diagnosi e eventualmente una terapia sempre più vicina al paziente.
Oggi possiamo evitare di applicare certe terapie se sappiamo che il genotipo di quell’individuo non è in grado di rispondere in modo adeguato a quel tipo di farmaco o terapia. Spesso in passato, quando la medicina non era personalizzata, si applicavano le regole generali per quella patologia. Ma noi oggi sappiamo che i pazienti non sono tutti uguali, hanno una storia genomica diversa e quindi alcuni sono in grado di rispondere a determinati stimoli terapeutici, altri invece non rispondono.
È inutile sottoporli a trattamenti che spesso hanno comunque effetti collaterali e hanno costi inutili per farmaci che non hanno effetti sul paziente.

La medicina di precisione è già realtà in alcuni ambiti, come l’oncologia. Ma c’è un problema di accesso…
Sì, gli ambiti di applicazione già in corso – ma che vanno migliorati, ampliati, resi sempre più fruibili – sono in ambito oncologico, in ambito cardiometabolico. E si sta cominciando anche in ambito neurologico e nelle malattie rare. C’è una crescita continua e un’applicazione sempre più ampia di queste tecnologie.
Oggi, grazie all’analisi del genoma che è diventata sempre più economicamente accessibile e anche più sofisticata dal punto di vista tecnico, è possibile determinare se una persona è più suscettibile allo sviluppo di determinate patologie di tipo oncologico. Questo dovrebbe essere un aspetto che nel prossimo futuro dovrebbe essere sempre più fruibile a tutta la popolazione.
Al momento questo non è così e questo è uno dei limiti: c’è un accesso alla medicina di precisione che non è aperto a tutta la popolazione ma spesso è legato soltanto a chi può in qualche maniera arrivare a certi centri che sono in grado di farlo e ne ha la conoscenza, perché spesso non si sa che queste cose sono fruibili e possono essere applicate.

Ed è proprio per superare questi limiti che nasce HEAL Italia. Ci racconta questo progetto?
HEAL Italia è stata una grossa scommessa e ancora lo è. Perché? Prima di tutto ha cercato di mettere insieme realtà che operavano in ambito sanitario diverse, che vanno dal medico al biologo all’informatico al tecnologo – ha cercato di mettere insieme realtà diverse in ambiti diversi. È un approccio trasversale alla medicina di precisione e questo è un caso quasi unico in Italia.
Il Ministero della Salute ha fatto partire da diversi anni delle reti tematiche in ambito medico sanitario – sei in tutta Italia al momento – che cercano di omogeneizzare gli approcci di medicina su tematiche specifiche: oncologia, neuroscienze, cuore, pediatria, invecchiamento. Però queste sono tematiche specifiche, limitate a un tipo di patologia.
HEAL Italia invece cerca di fare una cosa diversa: utilizzare capacità e approcci diversi in ambito nazionale in maniera trasversale, non limitati a una sola patologia ma che cercano di abbracciare più patologie. Perché oggi sappiamo che ogni patologia è poi legata ad altri aspetti. Le patologie vanno viste sempre in maniera più ampia e non restrittiva legata allo specifico.
Sappiamo per esempio che il diabete influenza tutte le patologie cardiologiche, tumorali. Il fumo ha effetti ben caratterizzati in ambito oncologico ma non solo, anche in ambito cardiologico. Bisogna tener conto di tante realtà.

E state anche creando centri specializzati sul territorio…
Sì, HEAL Italia sta sviluppando e cercando di portare proprio vicino al paziente alcune realtà importanti. Si stanno creando dei centri di medicina di precisione specializzati in ambiti specifici.
Per esempio, la genomica è al momento collocata in Sardegna a Cagliari. Abbiamo un centro per le malattie cardiometaboliche che si sta sviluppando a Roma e Pisa. C’è un centro per le malattie rare che è collocato ad Ancona. Stiamo cercando di portare realmente vicino al paziente questi approcci di medicina di precisione.
In questi tre anni HEAL Italia ha fatto dei passi avanti notevolissimi. Speriamo che queste realtà che stiamo creando diventino pienamente operative – alcune lo sono già – e possano veramente portare ai pazienti un beneficio oggettivo in ambito di medicina di precisione.
Siamo sempre più raccogliendo adesioni: eravamo partiti in ventiquattro, venticinque istituzioni, adesso siamo oltre settanta. E questo proprio perché vogliamo essere più trasversali e più geograficamente distribuiti dappertutto in Italia. Sappiamo già che ci sono tante altre realtà non solo pubbliche ma anche private che vogliono aggregarsi per cercare di creare una massa critica in ambito sanitario in Italia.

Se immaginiamo un futuro in cui la medicina di precisione diventa routine, qual è la cosa più importante che cambierebbe?
Intanto sarebbe opportuno che non si arrivasse ad essere pazienti ma si avesse un approccio con la medicina di precisione prima di essere pazienti. Questo è fondamentale. Oggi esiste la possibilità – e HEAL Italia si sta muovendo in questo senso – di utilizzare le conoscenze per far sì che si prevengano le patologie.
Non dico di prevedere, ma di dare a un individuo delle informazioni che gli possano permettere di cercare di evitare che certe possibili patologie a cui è più esposto, a maggior rischio, possano instaurarsi.

Quindi la medicina di precisione dovrebbe rivolgersi principalmente alle persone sane, alla prevenzione…
Esatto. Secondo me la medicina di precisione dovrebbe essere prevenzione. Le faccio un esempio: HEAL Italia sta promuovendo – non è ancora partito ma c’è un’idea – di fare uno screening della popolazione sana per mutazioni genetiche che possono portare allo sviluppo del cancro, in particolare del tumore del seno.
Queste sono cose che si possono fare. Sarebbe utile non farle dopo che è insorto il tumore. Ci sono altre cose che poi si fanno se il tumore è insorto – si caratterizza il tumore stesso da un punto di vista genomico soprattutto per capire quali sono le migliori terapie da applicare. Ma si può invece utilizzare la medicina di precisione proprio per cercare di rendere sempre meno possibile lo sviluppo di determinate patologie.
Se io ho certe mutazioni, so che posso essere suscettibile allo sviluppo di certe patologie. Se lo so in anticipo, prima di tutto posso fare dei controlli più mirati, secondo poi posso avere degli stili di vita che cerchino per quanto è possibile di evitare esposizioni a cose che possono favorire questo tipo di patologie.
Quindi la medicina di precisione si dovrebbe applicare ai sani principalmente in prima battuta e poi ovviamente per altri aspetti ai malati.

Ha citato un esempio molto interessante: il progetto dei “Molisani”. Ce lo racconta?
In HEAL Italia noi abbiamo una coorte di persone normali sane che ha un nome particolare: si chiamano Molisani perché sono stati studiati in Molise. Sono più di 20.000 persone seguite per oltre 20 anni da un centro clinico che si chiama Neuromed.
Queste persone sono state seguite da un punto di vista proprio di analisi cliniche, di stile di vita, dell’ambiente, della nutrizione. Questo è importante perché oggi, dopo 25 anni, ovviamente alcune di queste hanno sviluppato determinate patologie. Andando a ritroso e andando a studiare i genomi di queste persone noi possiamo capire quali erano i geni che predisponevano in qualche maniera a quelle patologie.
Per questo dicevo che la medicina di precisione si dovrebbe rivolgere in primis proprio alla prevenzione e allo studio delle persone sane prima di tutto, e poi ovviamente anche a quelle che sviluppano patologie come il tumore o patologie cardiometaboliche.

Per rendere reale questa visione, servono professionisti preparati. Quali competenze saranno necessarie?
Questo è un ambito che ho sollevato in varie situazioni anche con i ministri responsabili. Secondo me oggi c’è una carenza – e qui parlo da professore universitario – di formazione. Le formazioni attuali sono ancorate a concetti che non sono quelli che stanno emergendo in ambito di medicina di precisione.
Ci vuole assolutamente un cambiamento e un’implementazione dei contenuti che lo studio della medicina oggi prevede. Ma questo non è sufficiente perché, come dicevo all’inizio, questa è una piccola rivoluzione che coinvolge non solo gli operatori principali cioè i medici ma coinvolge i biologi – per esempio per la diagnostica, l’utilizzo di biomarcatori – coinvolge gli informatici perché i big data e l’intelligenza artificiale sono essenziali oggi per applicare al meglio la medicina di precisione.
Oggi per esempio si possono mettere in rete centinaia, migliaia di radiografie e quindi un’analisi viene fatta comparando non solo l’esperienza del medico ma con l’esperienza di altri migliaia di medici che hanno fatto studi simili. Questo è veramente importante perché la medicina di precisione sia realmente di precisione.
E sempre più poi il miglioramento delle tecnologie, perché senza il miglioramento delle tecnologie non si va da nessuna parte. La scienza biomedica è sempre cambiata quando sono cambiate le tecnologie, dall’avvento del microscopio ottico, a quello elettronico, alla genomica. I passi avanti della medicina sono sempre stati legati a passi avanti in ambito tecnologico.

E alle nuove generazioni, a chi si approccia oggi agli studi in medicina o biologia, quali consigli darebbe?
Penso che se parliamo di medici, chi sceglie di studiare medicina abbia già di per sé il sogno di fare quel lavoro e di farlo per il bene dei pazienti. C’è una vocazione di base. Non credo che uno si iscriva a medicina perché non aveva alternative. C’è una scelta sempre molto precisa e molto importante.
E quello che vorrei dire è che non bisogna limitarsi a passare l’esame – questo è l’ultimo dei problemi. L’esame è l’ultimo dei problemi, la conoscenza è il vero problema. Se io amo quello che sto facendo, devo cercare di crescere sempre di più le conoscenze in quell’ambito e non solo in quell’ambito.
Quindi leggere, studiare, interessarsi, essere curiosi: questa è la base per diventare di successo in ogni ambito, ma soprattutto in ambito medico. Non limitarsi al minimo sindacale. Questo è comunque un approccio sbagliato.
Se io sono così fortunato che posso studiare la cosa per cui credo di essere portato e interessato, devo farlo al meglio. Devo essere super curioso, super interessato e cercare di allargare i miei orizzonti il più possibile. Solo così si può arrivare ad avere una professionalità di un certo tipo e poi in genere se uno si applica e studia e fa del suo meglio ha anche dei risultati.
E quando il lavoro diventa un hobby, allora si va verso il meglio.

Professor Piacentini, lei crede molto in HEAL Italia. Perché ha deciso di investire così tanto in questo progetto?
Credo molto in HEAL Italia, per questo mi sono coinvolto moltissimo, sia prima diventando vicepresidente del Consiglio d’amministrazione, poi più recentemente ancora di più come direttore scientifico.
Penso che questo è un modo per cercare di portare un contributo reale alla sanità italiana, cercando di mettere a terra delle realtà che fino ad oggi non c’erano o erano limitate moltissimo solo a certi centri super specializzati.
Le mie aspettative – e un po’ di tutti noi come cittadini – devono essere quelle che questo tipo di approccio più moderno alla medicina sia sempre più generalizzato e sempre più fruibile da parte di tutti i cittadini che afferiscono al sistema sanitario nazionale.
Chiaramente questo è un obiettivo da raggiungere nel tempo, non è pensabile che da un giorno all’altro si possa applicare la medicina di precisione a tutti quanti. Però siamo in alcuni ambiti, per esempio quello oncologico, abbastanza avanti. HEAL Italia può dare il suo contributo perché dovremmo cercare di far partire delle campagne di personalizzazione sanitaria che portino a far sì che questi approcci personalizzati vengano espansi e applicati a una popolazione sempre più ampia.

Per concludere, Professor Piacentini, come definirebbe in una frase la medicina di precisione?
La medicina di precisione è la medicina del futuro che grazie a tecnologie sempre più innovative permette agli operatori sanitari di approcciare le diagnosi e le terapie focalizzandosi sull’individuo e non sulla patologia soltanto.

Prof. Mauro Piacentini

Prof. Mauro Piacentini

Direttore Scientifico

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