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Diabete: 580 milioni di persone nel mondo, ma la cura giusta è diversa per ognuno

Diabete: 580 milioni di persone nel mondo, ma la cura giusta è diversa per ognuno
Prof. Piero Marchetti

Prof. Piero Marchetti

Professore Ordinario di Endocrinologia, Università di Pisa – Coordinatore Spoke "Clinical Exploitation" Progetto HEAL ITALIA
Intervista al Prof. Piero Marchetti: come la medicina di precisione possa trasformare prevenzione e cura del diabete. Professore ordinario di endocrinologia presso l'Università di Pisa ed ex direttore dell'unità operativa di diabetologia dell'Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana, il Prof. Piero Marchetti è una figura di riferimento nel panorama italiano della diabetologia. Da sempre impegnato nella ricerca sulle cause del diabete e sulle possibilità di curarlo al meglio, si è occupato anche di trapianto di pancreas e di isole pancreatiche. Oggi lavora sulla possibilità di far regredire il diabete di tipo 2 ed altre forme di diabete, e partecipa attivamente al progetto HEAL Italia portando la sua esperienza nella costruzione di una medicina di precisione applicata alle patologie metaboliche.

Professor Marchetti, ci presenta il suo percorso professionale?
Sono professore di endocrinologia, già ordinario presso l’Università di Pisa, e sono stato direttore dell’unità operativa di malattie del metabolismo e diabetologia dell’azienda ospedaliera universitaria pisana. Come credo abbiate intuito, mi sono occupato sempre, se non quasi sempre, di ciò che il diabete significa per le persone che soffrono di questa situazione.
Ho ricercato le cause che determinano le varie forme di diabete e ho cercato anche di trovare rimedi per quanto riguarda la prevenzione e eventualmente anche la regressione del diabete. Aspetti farmacologici, aspetti trapiantologici, tutta una serie di valenze che tra l’altro ho la fortuna di poter approfondire nell’ambito di HEAL Italia, il progetto sostenuto dal PNRR, un partenariato esteso. Quindi sono qui per cercare di ragionare, discutere, mettere in comune alcune cose sulle quali possiamo anche prospettare novità positive per le persone con diabete.

Quando si parla di medicina di precisione, a chi è rivolta?
L’obiettivo di partenza e di arrivo è ripristinare la salute nelle persone che soffrono di qualche condizione che le affligge. E la medicina di precisione parte dalle caratteristiche cliniche e molecolari di queste persone affinché si possa trovare lo strumento di prevenzione, si possano trovare gli strumenti di prevenzione e di cura personalizzata per ogni specifica situazione.
È un concetto sul quale ragioniamo da diversi anni che è molto complesso, soprattutto in alcune situazioni come appunto il diabete, che è una sindrome particolarmente eterogenea.

Può spiegarci questa eterogeneità del diabete?
Nel mondo ci sono, come è stato calcolato dall’International Diabetes Federation, nel 2024, 580 milioni di persone con qualche forma di diabete. È un numero che continua ad aumentare. Si tiene che nel 2050 si sforeranno gli 800 milioni di persone con diabete se non si trova un modo per arrestare questa crescita veramente imponente dei casi di diabete.
È una situazione che si accompagna anche ad oltre 500 milioni di persone che hanno quello che si chiama prediabete, cioè non sono ancora persone che hanno il diabete ma non sono più nella situazione di normalità. Quindi questa è la classica popolazione sulla quale si potrebbero attuare azioni di prevenzione mirata.
Questa malattia, questa sindrome, è ancora accompagnata da complicanze acute e croniche, vascolari soprattutto, che rendono la vita delle persone con diabete veramente complessa. È un fardello molto faticoso da sostenere sia a livello personale ma anche a livello sociale.

Quali sono i costi per il sistema sanitario?
La spesa per il diabete a livello mondiale rappresenta il 12% di tutti i costi della sanità, quindi un trilione di euro nel 2024. In Italia le persone con diabete sono oltre 5 milioni e ciascuna si porta dietro la propria fatica. Si spende quasi 14 miliardi per il diabete.
Ciò nonostante, sebbene negli anni siano stati fatti molti progressi per gestire questa malattia, meno dell’8% delle persone con diabete raggiungono gli obiettivi terapeutici. Sto parlando del controllo della glicemia, ma nel contesto del rischio cardiovascolare in cui la persona con diabete si trova immersa. Se mettiamo insieme il controllo del diabete, il controllo della pressione arteriosa, il controllo dei parametri lipidici, meno dell’8% delle persone raggiungono il target.

Cosa significa questo?
Questo vuol dire che, malgrado gli sforzi di tutti, i costi e l’impegno, siamo ancora lontani dall’affrontare in maniera veramente effettiva ed efficace questa situazione, proprio perché il diabete è complesso. Noi pensiamo che quella pasticca possa funzionare per il 90% delle persone con diabete, oppure che il farmaco iniettivo magari possa fare questa funzione, quando in realtà bisognerebbe riuscire a capire di che cosa ha bisogno quella determinata persona.
Lo possiamo fare grazie agli studi di genetica, per individuare il rischio ma anche per individuare quale tipo di terapia può essere più efficace. Lo possiamo fare mirando ad un approccio di precisione per quanto riguarda la valenza nutrizionale, la dieta di queste persone, l’esercizio fisico. Ci sono delle variazioni genetiche che fanno sì che certi aspetti nutrizionali possano andare bene, altri no.
Mentre attualmente diamo a tutti più o meno lo stesso tipo di consiglio da un punto di vista dello stile di vita. Ecco quindi, è un mondo che, sebbene noto da un po’ di tempo, soltanto adesso sta trovando dei tentativi di risposta alle necessità del singolo.

Come funziona il percorso della medicina di precisione applicata al diabete?
Si parte dal paziente, si passa all’attività clinica definendone quello che si chiama fenotipo e se ne studia di questa persona le caratteristiche molecolari. Si individuano le specifiche di quella persona e si procede poi, dopo un’analisi dei vari dati mediante sistemi di intelligenza artificiale, si ritorna al paziente con un approccio specifico per quella determinata persona.

Qual è il ruolo della ricerca in tutto questo?
Io come si è capito sono un medico di estrazione e mi occupo anche di ricerca per come svolgo la mia attività. È chiaro che ricerca e persona con un problema devono essere considerati sullo stesso piano. Il percorso è circolare: persona con il problema, caratteristiche cliniche, molecolari, ritorno con una terapia personalizzata.
La ricerca è fondamentale perché se voglio fare una terapia mirata devo comprendere qual è il patrimonio molecolare, sia a livello genetico che a livello delle cellule che non funzionano più o dei tessuti che non funzionano più, quali sono le caratteristiche. Dopodiché le informazioni devono venire integrate e ritornano con un quadro completo e dettagliato delle caratteristiche di quella persona attraverso le quali poi il clinico può svolgere la sua attività.

Come sta cambiando il paradigma del medico?
È chiaro che il paradigma sta cambiando anche perché il medico deve familiarizzare intanto con l’eterogeneità del diabete. Ma anche la componente di analisi dei dati, di valutazione delle caratteristiche molecolari deve familiarizzare e comunque interagire continuamente con il clinico affinché si possano applicare le conoscenze dell’intelligenza artificiale e di tutto quello che dicevamo prima alle valenze cliniche di quella determinata persona.
Ci vuole però che anche il medico in questo cambio di paradigma assuma un ruolo di competenze specifiche ulteriori. Il medico deve sempre più rendersi conto che ogni persona con diabete ha le proprie caratteristiche.

Può farci degli esempi di questa eterogeneità?
Le quattro categorie principali di diabete sono: il diabete di tipo 1, che colpisce circa il 5-10% delle persone con questa sindrome, che è caratterizzato dalla perdita delle cellule beta pancreatiche che producono insulina. Il diabete tipo 1 richiede un approccio specifico terapeutico, cioè la somministrazione di insulina.
Il diabete tipo 2, che raccoglie circa il 90% di tutte le persone con diabete, quello associato ad obesità, è sempre più considerato un insieme di gruppi specifici. In quasi tutti a un certo punto prevale la incapacità di produrre abbastanza insulina, ma alcune persone hanno anche una forma di insulino-resistenza che rende più difficile l’utilizzo dell’insulina. Ma sempre di più all’interno di questa grossa categoria del tipo 2 si individuano cluster con caratteristiche cliniche di un certo tipo.
Poi ci sono le forme monogeniche nelle quali un solo tipo di alterazione genetica determina l’insorgenza del diabete. Ci sono le forme oligogeniche in cui due o tre geni impattano. Ci sono le forme di diabete secondario. Insomma, il medico, il diabetologo deve sapere che ci sono tutte queste forme di diabete, ciascuna delle quali richiede delle proprie caratteristiche.

E dal punto di vista terapeutico?
Poi c’è la parte terapeutica. Ci sono farmaci che hanno effetti collaterali e quindi non possono funzionare come dovrebbero perché la persona che le deve prendere poi non le prende più, pur essendo indicati per loro ed efficaci, perché hanno queste persone delle caratteristiche genetiche particolari.
Saperlo prima, quindi riuscire a indirizzare, vuol dire fare il bene della persona, risparmiare perché ho evitato di dare per dei mesi dei farmaci anche costosi laddove non servono e quindi poi una ricaduta a valle di grande rilevanza.

Quali sono le preoccupazioni e le aspettative riguardo alla medicina di precisione?
Ci sono aspettative e preoccupazioni in varie direzioni. Intanto c’è un aspetto molto delicato sul quale bisogna fare una riflessione profonda che riguarda tutto ciò che è connesso alla privacy, che va sicuramente rispettata. Ma bisogna evitare che l’informazione non possa essere utilizzata.
Molti clinici hanno degli studi retrospettivi che non possono in Italia pubblicare. Per esempio, patologie impegnative, poi le persone possono anche essere decedute a quel punto lì. Mentre potremmo riuscire a capire perché quella persona è deceduta, non possiamo farlo perché quella persona evidentemente non può più dare la propria autorizzazione.
Dobbiamo trovare un equilibrio tra i diritti di cui sono fortemente sostenitore delle persone, ma anche la necessità di poter utilizzare i dati. Questa è una preoccupazione.

E per quanto riguarda la formazione?
L’altra cosa che in Italia potrebbe essere migliorata è trovare il modo di formare nuovi professionisti. Perché tutto quello di cui dicevamo prima richiede delle competenze cliniche da parte del medico, nuove, specifiche, e dall’altra richiede anche la formazione di figure che possono fare da ponte, grazie alle conoscenze acquisite, tra la parte del dato nudo e crudo all’interpretazione del significato del dato stesso.
Mi riferisco in particolare alla necessità di avere sempre un numero maggiore e competente di esperti di biologia molecolare, genetisti, che possano collaborare con chi analizza i dati per trovare rapidamente risposte alle necessità delle persone con determinate problematiche di tipo diabetologico.

Quale l’importanza di HEAL Italia in tutto questo?
HEAL Italia è la prima organizzazione, la prima istituzione che si focalizza su tutte le tematiche di cui parlavamo prima in vari contesti clinici e organizzativi. HEAL Italia ha posto l’accento sulla necessità di integrare tutte le informazioni molecolari e fenotipiche in generale delle persone in vari ambiti della sanità: da problemi metabolici, cardiovascolari, oncologici, malattie rare. L’obiettivo è partire dalla situazione per costruire dei modelli di centri di medicina di precisione che possano realizzare tutto quello di cui abbiamo parlato in vari contesti. Quindi degli ambienti in cui una persona che ha un problema entra, la struttura se ne fa carico a tutti i livelli e ritorna poi alla persona con una risposta per la determinata specificità di quella persona.
HEAL Italia porta avanti questa visione che è diventata una missione a vari livelli: dalla valorizzazione delle risorse scientifiche e cliniche alla parte organizzativa di relazioni con il sistema sanitario per la messa in pratica poi di tutto questo.

Perché ha scelto di far parte del progetto HEAL Italia?
Inizialmente il fatto di essere stato contattato per alcune competenze specifiche che avevo per poter partecipare a questo progetto partenariato esteso 6. Ma inizialmente vedevo HEAL Italia come un’opportunità per condividere e per accrescere le competenze e le conoscenze in un determinato settore.
Strada facendo poi mi sono sempre più sentito coinvolto nella traiettoria che HEAL Italia stava assumendo perché c’era la possibilità, e di fatto in questo senso stiamo ancora lavorando e speriamo di poter lavorare sempre meglio anche nel futuro, di poter incidere direttamente anche sulla struttura sanitaria del nostro paese.
Una sintesi molto attraente di quello che è il senso di ciascuno di noi che lavora in ambito sanitario: rispondere alla richiesta di una persona che ha un problema e rispondere a quella persona non in maniera approssimativa, ma con risposte specifiche.
Quindi HEAL Italia copre tutto il percorso in questo senso e di questo sono orgoglioso di essere coinvolto.

In tutti questi anni ha visto dei progressi che quando ha iniziato la sua carriera non immaginava?
Sì, sicuramente sono stati molteplici sia a livello di avanzamento delle tecnologie per capire che cosa non funziona in una determinata situazione. Nel diabete, ci sono queste cellule che dovrebbero produrre insulina e che non la producono più e siamo andati avanti moltissimo nel comprendere il perché, sebbene i punti interrogativi ovviamente rimangono.
Poi a livello molecolare, in vari altri contesti del diabete, la fisiologia e la patologia degli organi che direttamente o indirettamente dal diabete sono interessati: dagli occhi ai reni, al cuore, ovviamente l’apparato cardiovascolare, il fegato più recentemente. Moltissimo si sta apprendendo.
Poi c’è tutta la componente relativa ai nuovi farmaci che sono sicuramente un contesto nel cui interno sono stati fatti moltissimi passi avanti, ma che al contempo presenta anche alcuni rischi.

Quali rischi?
Come accennavamo prima, la pillola o l’iniezione che va bene per tutti. Sicuramente sono farmaci che vengono utilizzati da moltissimi pazienti con grande soddisfazione, però al contempo, per esempio i farmaci che vengono chiamati agonisti di determinati recettori, in particolare il recettore del GLP-1, dopo alcuni mesi possono essere sospesi spontaneamente dal paziente per effetti collaterali.
Quindi c’è tutto un mondo: perché un farmaco che va bene poi a un certo punto può essere sospeso perché ha effetti collaterali, mentre una valutazione precisa della persona potrebbe anche farci capire con chi certi farmaci sono più efficaci e con minore effetto collaterale.
Accennavo prima all’attività fisica che deve essere personalizzata, agli aspetti nutrizionali che devono essere personalizzati. Quindi in tutto questo si è fatto e si stanno facendo passi avanti. Il percorso richiede ancora dedizione e impegno.

Facciamo un salto nel futuro: la medicina di precisione è diventata routine. Come potrebbe essere?
Mi metto io nelle veste di una persona che ha un problema, per esempio con il diabete. Io entro nel centro di medicina di precisione, vengo accolto, ho la possibilità di interagire con un medico col quale mi confronto. Il medico col quale mi confronto è in grado di capire se la mia è una situazione di un certo tipo o di un altro e mi colloca nella casella giusta.
Fare la diagnosi di diabete è semplice: guardare i numeri dei valori della glicemia e di altri parametri. Molto più complessa è inserirla nella casella. Se da un punto di vista clinico mi pone in una casella con caratteristiche un pochino atipiche, a questo punto è apparso il meccanismo di valutazione molecolare che ritorna poi al medico. E il medico insieme al genetista, insieme ad altre figure professionali individua con precisione qual è il mio tipo di diabete e passa poi alla terapia.

E per quanto riguarda la prevenzione?
Il nostro sistema sanitario, soprattutto per quanto riguarda l’assistenza al diabete, è strutturato in maniera molto capillare. Ci sono diffusi in tutta Italia molti servizi di diabetologia. Quindi in un sistema di hub e spoke, con le opportune ristrutturazioni in senso lato, è possibile pensare realisticamente che tutto questo si possa realizzare.
Un po’ di creatività aggiuntiva ci vuole per quanto riguarda la prevenzione del diabete perché il nostro sistema non è pronto a decidere che cosa fare. Nel mondo 600 milioni di persone con prediabete. Queste persone sfuggono alle nostre osservazioni e sono quelle che poi vanno a infittire il complesso delle persone con diabete.
E qui molto si può fare in un sistema di medicina di precisione in prospettiva con l’aiuto della medicina generale. Il contesto dovrebbe prevedere che la persona a rischio dovrebbe essere individuata dal medico di medicina generale e poi inviata alla struttura di riferimento per poter attuare tutte le valutazioni cliniche e molecolari per impedire che a quella persona venga il diabete.

La medicina di precisione viene confusa con l’intelligenza artificiale?
Intanto una delle situazioni che vale la pena chiarire è che a volte si confonde la medicina di precisione con l’intelligenza artificiale. L’intelligenza artificiale può aiutare la medicina di precisione ma la medicina di precisione non va identificata con l’intelligenza artificiale.
Nella medicina di precisione c’è l’aiuto di sistemi, di banche dati, di bioinformazione. Sicuramente tutto questo poi aiuta anche attraverso sistemi tecnologici particolari di arrivare a un sospetto diagnostico. Però, perdonatemi, quello che rimane centrale alla medicina di precisione è la competenza del professionista.
Noi alla fine non dobbiamo dimenticarci che abbiamo davanti una persona e che quindi tutto ciò che la tecnologia ci offre poi deve essere declinato in un’attenzione per la persona che richiede poi di entrare in una relazione anche di fiducia con il professionista.
Non vorrei che si pensasse ad un sistema che trascura il nostro essere persone, sia da un punto di vista della persona che ha il problema sia della persona professionista che cerca di risolvere quel problema.

Come vede la prevenzione del diabete di tipo 1 in futuro?
A maggior ragione nel diabete di tipo 1, quello che richiede l’utilizzo dell’insulina, sono in fase di valutazione numerosi nuovi farmaci capaci di prevenire o ritardare l’insorgenza della malattia. E qui la caratterizzazione molecolare di una persona a rischio di diabete di tipo 1 potrebbe davvero far sì che quella persona il diabete di tipo 1 non lo sviluppi oppure lo sviluppi in maniera meno grave di quello che al presente la malattia può essere.

Un messaggio finale alle nuove generazioni?
Le nuove generazioni di medici e ricercatori dovrebbero capire l’importanza di avere una visione ampia. Ogni professionista continuerà a fare il proprio lavoro però in un’ottica di squadra, in un’ottica di team. Cioè si metteranno insieme più competenze per andare a valutare e a dare al paziente, alla persona, tutte le risposte di cui ha bisogno in quel momento.
La cosa importante è riflettere sull’importanza di fare squadra, di unirsi per mettere in gioco tutti, ognuno con la propria professionalità, e dare al paziente le risposte necessarie in quel momento per la sua salute ma anche in quel momento della sua vita.

Il Prof. Marchetti continua a essere una figura di riferimento nel panorama italiano della diabetologia e della medicina di precisione. Attraverso la sua partecipazione attiva al progetto HEAL Italia, sta contribuendo a costruire un sistema sanitario in cui ogni persona con diabete possa ricevere la cura più appropriata per le sue specifiche caratteristiche, trasformando la promessa della medicina di precisione in realtà concreta per milioni di pazienti.

Prof. Piero Marchetti

Prof. Piero Marchetti

Professore Ordinario di Endocrinologia, Università di Pisa – Coordinatore Spoke "Clinical Exploitation" Progetto HEAL ITALIA

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